Parità di genere: l’Italia fa progressi ma la strada è ancora lunga!

17/11/2023

A seguito dello sciopero avvenuto in Islanda sul tema della parità di genere e contro la violenza sulle donne, l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere ha diffuso il Gender Equality Index.
Secondo quanto emerso dalla bussola internazionale, per la prima volta l’Unione Europea ha registrato un trend positivo, mantenendo, tuttavia, un andamento ancora poco omogeneo. Paesi come la Francia e la Finlandia hanno ottenuto un buon punteggio, anche se fermo da anni, mentre l’Italia, insieme con il Portogallo, il Lussemburgo e Malta, ha raggiunto livelli superiori rispetto agli anni precedenti, non riuscendo però ancora a superare il benchmark fissato dalla media europea.
Parità di genere: l’Italia fa progressi ma la strada è ancora lunga!
I settori su cui il gender gap continua a diffondersi a macchia d’olio, restano infatti quelli legati alla sfera politica, economica e salariale, anche se l’Italia, dopo ben 10 anni, ha mostrato una notevole presenza femminile del 33% nell’ambito parlamentare e nei consigli di amministrazione, arrivando ad ottenere 68,2 punti su 100. Segno di un importante passo ed affermazione di empowerment femminile!

«La legislazione apre la strada a cambiamenti significativi. Le quote regolamentate in otto Stati membri dell’Ue hanno contribuito a rompere il soffitto di vetro nelle aziende, portando più donne ai vertici e portando più innovazione, creatività e produttività nei consigli di amministrazione. Si spera che la direttiva sull’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società, approvata lo scorso anno, mantenga lo slancio e abbia un effetto di ricaduta su altri Stati membri dell’Ue» si legge nel report, che aggiunge: «Ora abbiamo bisogno di un’azione più mirata da parte dei parlamenti per accelerare i progressi nella sfera politica, in particolare con le elezioni del Parlamento europeo nel 2024».
Resta cristallizzato l’ambito relativo all’aspetto occupazionale. Nonostante i numerosi passi in avanti, il tasso di occupazione femminile resta fermo al 52,6% contro l’80% di quello maschile, a conferma del fatto che l’accesso al lavoro rimane un’ambizione ancora per molte donne. Tale circostanza, oltre a provocare un danno in merito all’efficienza del lavoro, provoca una grave perdita di talenti e competenze, riducendo al tempo stesso l’incentivo al lavoro di altrettante donne.
Di prioritaria importanza è il tema della disparità salariale, la quale continua a segnare una differenza di punti pari al 13%. Tale consapevolezza ha infatti sollecitato una risposta da parte del legislatore europeo il quale, mediante la Direttiva 2023/970, ha introdotto obblighi a carico del datore di lavoro, come misura fondamentale volta al superamento del divario di genere sul luogo di lavoro.
La Direttiva, che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 7 giugno 2026, focalizza l’obiettivo sulla trasparenza retributiva, obbligando i datori di lavoro (secondo specifici criteri) a comunicare periodicamente dati sulle divergenze salariali.
  • Le imprese con più di 250 dipendenti dovranno comunicare i dati con cadenza annuale;
  • Le imprese con più di 100 dipendenti dovranno comunicare i dati con cadenza triennale;
  • Le imprese con meno di 100 dipendenti non saranno soggette a tale obbligo.
Qualora dalla comunicazione dovesse risultare con una differenza salariale superiore al 5% non giustificabile, le imprese dovranno confrontarsi con i rappresentanti dei lavoratori.
Il primo passo per le imprese, per iniziare un percorso di parità di genere ed arrivare pronti all’imminente cogenza legislativa del 2026 è sicuramente l’adozione del nuovo Sistema di Gestione secondo UNI/PdR 125.2022. (Certificazione per la Parità di genere).

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